Trentotto anni
lei, dodici il suo matrimonio con Silvio Testi, 9 anni l'età di
sua figlia Sara, 7 anni li ha Giovanni, 3 e mezzo la coppia di
gemelli Giorgio e Chiara. Questi i “numeri” della vita di
Lorella Cuccarini. Che, vista da vicino, in piumone nero, tuta
da ginnastica e capelli raccolti, senza un filo di trucco,
sembra una bella e normale giovane donna italiana. Sicuramente
mamma, in quanto rassicura in continuazione i figli che la
chiamano sul cellulare, e sicuramente impegnata, visto che
riceve molte telefonate di autori, collaboratori, registi,
eccetera. In fondo, però, anche l'auricolare è una cosa da
mamma italiana formato nuovo millennio. Lei, però, ne fa un uso
parco e controllato e altrettanto ne fa fare ai suoi figli;
sfiorando la rigidità svizzera: "Niente cellulare, per
loro, sono troppo piccoli; anche se alcuni amichetti li hanno:
è davvero diseducativo". |
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Lorella è
una donna bella e sicura di sé, che incontriamo per
un'occasione particolare. Compie dieci anni, infatti, come Vita,
il programma Trenta ore per la vita che in lei
s'identifica e che quest'anno debutta sulle reti Rai. Ma
soprattutto è una donna tosta. Potremmo partire subito con le
domande se non fosse che l'immaginario, personale e collettivo,
dei trenta-quarentenni cresciuti a pane, nutella e tv a colori
conserva fondamentalmente un'immagine delle soubrette
televisive: quella di Heather Parisi. Cicale cicale,
Fantastico e tutto il resto. Troppo piccoli per la Carrà,
già troppo grandi per le Veline, una generazione intera rimase
incantata da lei, Heather, esuberante, esotica (ed erotica) quel
tanto che bastava.
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Poi,
cresciuti i ragazzi di allora, né meglio né peggio gioventù
ieri come oggi, e persa l'innocenza, quella generazione si
è ritrovata ad accendere il tv al plasma con satellite
incorporato e schermo ultrapiatto e a ritrovarsi tra le
macerie fumanti dell'invasione delle veline (consigliamo,
sull'argomento, un libro ben scritto e arguto, La
repubblica delle veline di Candida Morvillo, che spiega
e racconta “l'evoluzione della specie”). Lì capimmo al
volo che qualcosa non andava, che l'incantesimo delle cicale
s'era rotto. Alla disperata ricerca della soubrette tanto
intelligente quanto italiana, seducente ma insieme serena e
positiva ci siamo imbattuti, dal 1985 in poi, in Lorella
Cuccarini. Alla vigilia della nuova edizione di Trenta
ore per la Vita l'abbiamo intervistata su temi cari a
lei e noi.
E perché la generazione dell'età di mezzo una come la
Cuccarini, modello di buona e sana televisione, e
quant'altro passa il tubo catodico, se l'è persa per
strada. Anche questa intervista, in fondo, è un modo per
recuperare. E saldare un debito. Perché le cicale, come
aveva capito Pasolini, sono una condizione dell'anima, mica
la realtà.
Ps. Arte e vita, però, vanno a braccetto: ecco perché solo
una come Lorella poteva far rivivere con grazia e verve, a
teatro, la mitica Olivia Newton John del film cult Grease.
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Come
nasce una stella, signora Cuccarini? A
nove anni frequentavo i corsi di danza (ero già entrata nella
scuola di Enzo Turchi), più tardi diventai ballerina di fila
nel mondo dello spettacolo grazie a programmi come Te lo do
io il Brasile di Beppe Grillo, Tastomatto di Pippo
Franco ma senza smettere di studiare (sono arrivata fino al
diploma!). Il momento magico per la mia carriera artistica, però,
è stato l'incontro, a diciott'anni, nel 1985, con Pippo Baudo
che, da quel momento, mi ha catapultato al Teatro delle Vittorie
a Roma per Fantastico 6. Il successo fu immediato e tutti
i giornali scrivevano proprio così: "è nata una
stella". La sigla di testa, Sugar Sugar, divenne
subito popolarissima e restò in classifica a lungo. Da quel
momento, di strada ne ho fatta molta, se solo penso ai
chilometri macinati in macchina per trasferirmi da Roma a Milano
chissà quante volte o in giro per tournée...
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Qualche
sogno nel cassetto è rimasto o si sente, come dire,
“arrivata”? Non ho
particolari sogni, mi è capitato di fare tutto. Dal sabato sera
televisivo al musical in teatro. Ecco, mi piacerebbe rifare
tutto ma fatto ancor meglio, questa è la mia vera aspirazione.
In tv, in
questi giorni, sta andando in onda la fiction Amiche.
Dicono che lei sia molto brava a recitare. Ne
sono davvero felice. Interpreto un personaggio “leggero”, ma
dal carattere complesso, che matura. In ogni programma che
faccio sto molto attenta al copione, alla storia, alle sue
possibili implicazioni quando verrà visto da milioni di
persone. Mi chiedo sempre: che effetto farà, sul pubblico? Come
la prenderanno? Che tv faccio? Ormai non esistono più “fasce
protette” per i bambini. Anche per quanto riguarda le
pubblicità, (anche se in questo campo sono rimasta “fedele”
a una sola marca, la Scavolini), cerco sempre di fare una specie
di “controllo qualità”. Per questo mi sono sempre rifiutata
di fare telepromozioni, in televisione, per evitare di trovarmi
di fronte a prodotti di cui non potevo poi controllare
personalmente la qualità.
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Ci porta
proprio lei, con quello che dice, a parlare di etica e
televisione: l'attuale guerra degli ascolti e le accuse al
vetriolo tra Antonio Ricci e Paolo Bonolis, che senso hanno? Mi
sembra siano figlie di un'unica, terribile, filosofia, quella
dove conta solo il successo e l'audience, dove tutto viene
sacrificato in nome degli ascolti, del primato Auditel. Dentro
la Rai, però, ho trovato più attenzione per le proposte sulla
solidarietà, come Trenta ore per la vita ma anche la
maratona per Telethon e altri. Il problema della televisione
italiana è che trasuda finzione. Se io trovassi, per dire, un
reality show giusto per me, lo farei ma oggi la tv è il regno
dei format, tutto viene banalizzato, formattizzato, i reality
sono il regno della finzione. Ma le storie vere superano di gran
lunga quelle finte, sempre. |
Finiamo
parlando di solidarietà e televisione. Un binomio difficile.
Lei come lo vede? Tutte
le iniziative che mantengono quello che promettono vanno bene,
l'importante è che la gente non venga mai ingannata. Prima del
1994, quando sono diventata testimonial di Trenta ore per la
vita, avevo partecipato a diverse iniziative benefiche ma da
estranea, e invece volevo fare qualcosa in prima persona e che
durasse nel tempo. Stare con i piedi per terra, toccare con
mano, coinvolgersi personalmente, è essenziale proprio come
condurre l'evento televisivo. è un modo per ringraziare di ciò
che ho e per restituire qualcosa. E poi è l'unico modo in cui
la popolarità diviene davvero utile e non una mostruosità,
come a volte è. Io credo che il segreto di una comunicazione
televisiva capace di innescare meccanismi di solidarietà sia
nella consapevolezza di entrare nelle case di tutti, ma per
farlo occorre sensibilità e rispetto. Non tutte le iniziative
di solidarietà che vedo passare in tv mi convincono. Mi piace
molto quanto fanno i colleghi della Nazionale Cantanti
capitanati da Gianni Morandi e Ramazzotti. Mentre un mega-evento
come Pavarotti and friends mi convince meno. Non vedo il
dopo, il risultato non è raccontato, è questo che mi lascia
perplessa. La questione però non è di mera rendicontazione ma
di un approccio che può e deve essere serio, sincero e onesto
rispetto a una tematica particolare come la solidarietà.
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Trenta
ore per la vita riparte dalla Rai, per la precisione Rai
due. Con quale formula?
Saranno due prime serate su Raidue, il 9 e il 16 febbraio, con
una striscia quotidiana ogni giorno alle 17 e “incursioni”
nell'intera programmazione di tutte e tre le reti Rai. Il titolo
sarà Figli delle stelle e si concretizzerà in una gara
tra due vip e le loro tifoserie: si comincia il 9 febbraio e la
gara si svolgerà tra la tifoseria del calciatore Francesco
Totti e quella dell'attrice Maria Grazia Cucinotta. La raccolta
fondi sarà a favore di interventi e progetti di assistenza agli
anziani, su tutti quelli della Comunità di Sant'Egidio.
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Per la prima volta Trenta ore per
la vita va in onda sulle reti Rai... Quest'anno è per noi come un nuovo
anno zero perché abbiamo cambiato casa. In Rai non ci sentiamo affatto degli
“ospiti” ma sentiamo che l'azienda è con noi. Ma Trenta ore per la vita,
me lo lasci sottolineare, è più di un programma televisivo, più di un evento
per la raccolta fondi: è un'associazione che un gruppo di amici, molti dei
quali impegnati nella comunicazione e in tv (fra loro l'attuale presidente
dell'associazione, Rita Tedesco, ndr), fondarono nel 1993 per provare a
fare “il più bel programma della nostra vita”. E che Trenta ore per la
vita sia un'associazione vera e vitale l'ha dimostrato, credo, lo scorso
anno, quando, orfana della tv che l'ospitava (le reti Mediaset, ndr), ha
girato tutta l'Italia per inaugurare i progetti che avevano beneficiato della
raccolta fondi televisiva. è stata per me un'esperienza bellissima,
un'esperienza in cui ho ricevuto tantissimo. Lì ho capito come Trenta ore
per la vita fosse diventata una vera e propria “casa” per molte
associazioni.
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Che cosa le è scattato dentro,
quando ha scelto di diventare la loro testimonial? Guardi, è sempre più
quello che ricevo di quello che do, direi che è quasi il doppio. La credibilità
o bontà del personaggio Cuccarini m'interessa meno, m'interessa molto di più
stare a contatto con persone meravigliose. Con i volontari di Sant'Egidio sono
andata a vedere le case e i palazzi dove ospitano handicappati, immigrati,
rifugiati e dove compiono tutti i giorni una missione di assistenza domiciliare
straordinaria. Con gli anziani, i poveri, i senzatetto. Vengo da una famiglia
povera e penso a mia nonna. Mia madre faceva la sarta e mi ha insegnato il senso
e il valore delle cose, del denaro. è quello che cerco di trasmettere ai miei
figli. Che c'è una scala, nei valori della vita.
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Perchè
credo a Telebontà (VITA 2004)
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